Porterò sempre dentro di me l’Iraq e la sua gente, l’ospitalità che la fa sempre da padrone e la speranza di un futuro migliore per tutti loro. Con la certezza di tornarci. A presto.
L’interesse per il Medio Oriente si è tramutato nella volontà di una sua rinascita, questo il motivo per cui sono partito per l’Iraq. Erbil la “Dubai dell’Iraq”, sede della missione, si mostra con le sue costruzioni in corso e altre lasciate a metà. Il quartiere dove operiamo è Ainkawa, qui siamo immersi nella comunità cristiana in maggioranza fuggita dalla piana di Ninive. Il caldo è soffocante, ci sono 50 gradi all’ombra, il primo giorno lo dedico alle procedure per ottenere l’estensione del visto e al corso sulla sicurezza. Faccio conoscenza della squadra e del capo missione, la sensazione che provo è quella di essere immerso in un nuovo mondo.
Vengo subito trasferito a Bana Sor, un piccolo villaggio di 200 famiglie vicino ad Akre, in pieno Kurdistan. Il lavoro con l’associazione è dai primi giorni coinvolgente, ciò che lo rende unico è il contatto con gli abitanti e in particolare i ragazzi del villaggio. Dare un contributo significa anche giocare a volley, organizzare la serata cinema il mercoledì e conoscere le loro storie, così ci si accorge di come i nostri desideri si accomunino, anche nel bel mezzo di un paese devastato da anni di guerra. Il lavoro più importante è la ristrutturazione della chiesa di Akre, edificata nell’800. L’obiettivo è quello di renderla di nuovo funzionale e usufruibile. Il lavoro è molto e faticoso ma gratificante. Le pareti sono pronte per il semento ed il pavimento pulito, già mi immagino la cerimonia del 6 ottobre, la festa di questa chiesa, a cui non potrò partecipare.
Ho la fortuna di partecipare all’inaugurazione del coffee shop di SOS, anche la sindaca è presente, sono contento perché nasce un luogo di cultura, tanti libri, un bellissimo balcone e la gioia di ragazzi e bambini.
A Bana Sor uno dei volontari viene battezzato, tutto il team di SOS si riunisce per questo evento, sono appena arrivato e subito sono coinvolto nell’organizzazione di questo importante evento, conosco il Mukhtar, una sorta di sindaco e responsabile del villaggio. I preparativi sono coinvolgenti e il giorno della cerimonia tutto il villaggio è presente e le donne emettono un suono di festa e gioia. Ho la possibilità, una settimana dopo, di partecipare alla festa della croce, evento che riunisce tutti gli abitanti del villaggio. Randy, un ragazzo che ci aiuta nelle nostre attività mi chiama sull’altare a fine preghiera insieme ad Abuna il prete che parla italiano, ha vissuto un periodo in Vaticano, forse devo pronunciare un discorso, sono da poco responsabile dell’antenna, invece no mi danno la croce e sono a capo della processione, sono emozionato, le donne si avvicinano per toccarla, è un momento di grande espressività religiosa. Fuori dalla chiesa viene acceso un fuoco, preghiamo di nuovo. Il fuoco in queste terre simbolicamente è presente, il rito è quello di saltarci sopra, da un lato all’altro.
Torno ad Erbil per qualche giorno e anche qui riesco a svolgere varie attività: con gli anziani, in un centro per persone con disturbi mentali e nella scuola di SOS, per i bambini che vivono nei dintorni, in particolare yezidi che vivono nei palazzi non terminati nei dintorni. Prima lezione di italiano, sono soddisfatto. In Iraq ho la fortuna di visitare l’antenna di Alqosh, un villaggio che guarda la piana di Ninive dalle pendici delle montagne, che per poco non fu catturata da DAESH. Qui ho la fortuna di partecipare all’inaugurazione del coffee shop di SOS, anche la sindaca è presente, sono contento perché nasce un luogo di cultura, tanti libri, un bellissimo balcone e la gioia di ragazzi e bambini.
Visito anche Lalish il luogo di culto più importante per la comunità yezida, perseguitata e terribilmente scossa dagli ultimi eventi. Con SOS svolgiamo delle donazioni nel villaggio yezida di Beban. La maggioranza di queste famiglie è molto povera, è scappata portandosi dietro solo lo stretto necessario dalla regione del Sinjar dopo un assedio da parte di DAESH, ora lavorano e vivono nei campi nei dintorni. In ultimo, una delle notti più magiche, si è svolta nel monastero di Mar Mattai. Ricorreva il giorno della morte dell’eremita che diede il nome al monastero nel 363 D.C. uno dei luoghi più antichi della cristianità, dal quale si domini Mosul e tutti i villaggi che la circondano. Due giorni di festa con la comunità locale, la possibilità di creare nuove amicizie e di conoscere i riti e le liturgie orientali. Porterò sempre dentro di me l’Iraq e la sua gente, l’ospitalità che la fa sempre da padrone e la speranza di un futuro migliore per tutti loro. Con la certezza di tornarci. A presto.
Riccardo Rovida
Via Meuccio Ruini 31,
00155 Roma
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