Il 12 dicembre 2016 resterà negli annali. Ricorderò per sempre la gentilezza e dignità dei volontari siriani di SOS Cristiani d’Oriente, la loro forza d’animo nell’affrontare il quotidiano con umorismo e leggerezza.
Mi chiamo Giorgio Kioussis, ho 27 anni e nel mese di ottobre sono partito volontario in Siria con SOS Cristiani d’Oriente. Premetto di non essere un “addetto ai lavori”: non ho una preparazione accademica per quanto riguarda la geopolitica o le relazioni internazionali.
Non sono stati motivi politici o “voyeuristici” che mi hanno spinto sin dal 2012 a seguire giorno dopo giorno gli sviluppi della crisi siriana. È stato per lo struggimento.
Durante i miei studi, ho affrontato delle questioni che in un certo modo hanno formato la mia visione politica e umana del mondo. Qualche anno fa scrissi una piccola pubblicazione sull’importanza della flora nativa nel nord della Toscana e sugli sforzi che noi studiosi dobbiamo compiere affinché tali specie, che nelle migliaia di anni hanno saputo adattarsi e sopravvivere in un territorio, possano continuare a farlo nel futuro. Lo stesso principio credo valga per le comunità e le tradizioni del mondo e soprattutto del Levante, che in un fragile equilibrio hanno continuato ad esistere. È dovere dell’umanità difendere la pluralità delle culture dal nulla totalizzante che uniforma le società e soffoca i popoli. Se in Europa ormai lo sfaldamento della nostra identità è ormai quasi compiuto, senza eccessivi spargimenti di sangue, ma attraverso gli inganni del capitalismo e dell’esegesi della realtà attraverso le chiavi di lettura del mercato e del politicamente corretto.
Quando ho preso la decisione di partire, non l’ho raccontato a nessuno: è partita come una cosa che volevo fare solo per me, ovvero liberarmi anche solo minimamente del fardello che ognuno di noi cittadini europei ed occidentali ci portiamo sulle spalle. Ovvero l’indifferenza ed ignoranza generale verso il popolo e la cultura siriana. Un atteggiamento che ci ha portato a dare credito a mistificatori della verità, narratori di atrocità confezionate ad arte e a dare sostanzioso aiuto a coloro al servizio della morte.
Forse perché per l’occidentale medio la Siria è solo un altro Paese islamico, politicamente instabile e culturalmente irrilevante. Invece, essendo per metà greco e metà iraniano, la Siria per me rappresenta il crocevia delle mie origini.
In molti, una volta tornato, mi hanno chiesto “Perché proprio i cristiani d’Oriente?”, altri non avevano neanche idea che ci fossero i cristiani in medio oriente. Ed è proprio perché non sono presi in considerazione, ignorati e lasciati nel dimenticatoio, che ho voluto intraprendere questo viaggio.
Non mi reputo un cristiano praticante e ho molti scetticismi personali al riguardo, ma sono fiero di definirmi cristiano culturalmente. I miei antenati sono morti per difendere la Croce, hanno subito persecuzioni dai turchi ottomani, che uomo sarei a voltare le spalle ed ignorare tutto questo? Il minimo che potessi fare era condividere lo stesso cielo e la stessa terra con i cristiani di Siria che resistono, conoscerli, aiutarli nei miei limiti e dimostrare loro che non tutti li hanno abbandonati.
SOS Cristiani d’Oriente in tal senso è esemplare: un’associazione umanitaria che sta portando avanti un lavoro indescrivibile nell’alleviare le sofferenze di un popolo che ha esaurito le lacrime da versare. Dando sostegno a privati, scuole, chiese, quartieri con aiuti economici, fisici e non meno importante, emotivi.
L’arrivo nel Paese, vuoi per la stanchezza e un po’ di ansia, inizialmente non mi ha suscitato particolari emozioni. Anzi, la prima constatazione che ho fatto è che non sembrava neanche di essere in un Paese in guerra. La valle della Bekaa, attraversata durante il tragitto Beirut-Damasco, mi sembrava più “disastrata” di Damasco. Ovviamente questa illusione non è durata molto: il tempo di uscire dal quartiere presidenziale, e vedere seppur in lontananza la Ghouta.
Anche nelle persone ho “dovuto” imparare a vederne la sofferenza. Non la mostrano apertamente, e non credo neanche per vergogna, ma per la nociva inutilità del dimostrarla. Noi occidentali siamo talmente abituati a lagnarci che lo facciamo per le ragioni più banali e innocue. Ci inquiniamo l’anima col pessimismo, il disfattismo e l’angoscia.
Una volta arrivato ad Aleppo tutto si è fatto più tangibile: la guerra, la precarietà della vita e la lotta giornaliera per andare avanti. Non si spara più come nel 2016, ma la povertà e la mancanza di servizi sono costantemente presenti. La città è stata intaccata non solo con la distruzione materiale e la morte, ma il tessuto sociale è stato reciso profondamente: le comunità etnico-religiose che prima popolavano in relativa armonia la città, oggi vivono più che mai divise. Mi ha ricordato la situazione di città come Sarajevo e Mitrovica, nella Ex-Jugoslavia, solo moltiplicata per mille.
Sono molte le cose che mai mi dimenticherò della mia permanenza: in primis le visite e la consegna dei viveri ai disabili e agli anziani.
Il pianto afono di un anziano marito al capezzale della moglie gravemente affetta da ictus, mentre raccontava di quegli anni di paura e reclusione casalinga, con Al Nusra che deliberatamente colpiva le case dei cristiani coi mortai a Natale. Le mani piccole e delicate ed il sorriso luminoso di due sorelle armene, entrambe affette da distrofia muscolare, che per sbancare il lunario producevano eccellenti decorazioni all’uncinetto, bloccate nei loro letti. La gentilezza e dignità dei volontari siriani di SOS Cristiani d’Oriente, la loro forza d’animo nell’affrontare il quotidiano con umorismo e leggerezza. Ma anche dettagli apparentemente di secondo conto: lo sguardo dei passanti che ti trafigge l’anima, ognuno di essi con un inimmaginabile bagaglio di orrori e sofferenze subite. Il disegno di un bambino dentro una scuola usata come quartier generale dei jihadisti, uno scorcio di innocenza in mezzo alla distruzione, che ti fa chiedere quale sorte sia lui toccata. Il fatto che gli aleppini nelle loro case guardano sit-com e programmi televisivi turchi, senza provare risentimento oppure odio per una nazione che ha fatto di tutto per soggiogarli, distruggerli fisicamente ed economicamente. Storie di disperato ed incosciente desiderio di normalità, che spingeva i siriani della costa a comprare lo yerba mate (bevanda di culto per molti siriani) dai ribelli/salafiti a prezzi ampiamente maggiorati, poiché nelle zone controllate dal governo in certi periodi non era disponibile.
Un paragone tra i siriani e noi europei viene inevitabilmente spontaneo: siamo entrambi uomini in mezzo alle rovine. Loro in mezzo alle rovine materiali, ma spiritualmente sopravvissuti. Mentre noi viviamo in mezzo alla bellezza e all’ordine, ma le rovine sono nel nostro spirito. Ed il nostro avvenire è più infausto del loro.
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