Prima di partire per il Libano non avevo idea di cosa aspettarmi: a differenza di altri paesi del (cosiddetto) Medio Oriente, il paese dei cedri è fuori dalla scaletta dei notiziari da almeno dieci anni. Oltretutto non ero mai uscito dal continente europeo.
Secondo il sindaco e diversi abitanti di Alqosh il parco, in precedenza molto bello e mantenuto, era un vero luogo di vita, frequentato da tutti gli abitanti. I bambini giocavano lì ogni giorno e gli adulti venivano a fare partite a domino, a carte, ecc. Uno dei due edifici nel parco era inoltre una piccolo ufficio commerciale.
L’associazione SOS Cristiani d’Oriente, che lavora sul posto, ha deciso di riabilitarla per permettere ai bambini di ritrovare il sorriso giocando di nuovo lì.
In generale, la “vie en antenne” è scandita da una routine settimanale. Vi possono essere tuttavia incontri particolari durante la settimana, per esempio con i militari francesi od italiani della missione UNIFIL. Si tratta di soldati alle dirette dipendenze del rispettivo comandante incaricati di intrattenere i rapporti con la popolazione civile (Equipe de Liaison). Nel nostro caso essi vengono a visitare prima di tutto Jacques, il nostro punto di riferimento nel villaggio e in secondo luogo i volontari di SOS. A riprova del buon rapporto con i militari francesi, posso menzionare l’invito che abbiamo ricevuto di presenziare a Deir Khiffa, nella base militare francese, al cambio del comandante della base stessa, occasione nella quale abbiamo anche brevemente presentato l’associazione al comandante in capo della missione UNIFIL, l’italiano Gen. Stefano Dal Col. Per quanto riguarda i soldati italiani posso menzionare le due visite alla base militare italiana a Shamaa per incontrare il cappellano militare del contingente italiano oppure come ci abbiano portato, dopo averci conosciuto e senza che chiedessimo nulla, uno scatolone di pasta!
Riguardo ad attività fuori dalla routine, spesso si tratta di collaborare con il centro “Sel et Lumières”, un’associazione fondata e diretta dal parroco di Rmeich, Abuna Jahwar, sia in maniera estemporanea che pianificata. Per esempio il sabato presso questa associazione vengano preparati i pasti per circa 70 persone bisognose del villaggio e per una volta siamo stati noi volontari di SOS a prepararli. Altra attività di cui sono stato particolarmente soddisfatto è stata un corso serale introduttivo di italiano, tenuto sempre presso “Sel et Lumières” da Abuna Toni, sacerdote natio di Rmeich ma con quasi dodici anni passati in Italia, che ho affiancato ad esempio quando c’era da esercitarsi nella conversazione o nella produzione scritta. Per quanto i partecipanti fossero meno di una decina, devo sottolineare i risultati notevoli per un corso durato all’incirca un mese di una lingua a mio giudizio non facile. Senza contare come ci sia stato anche molto da divertirsi, per quanto scherzassero in arabo! Vi sono tutto l’anno infine diverse occasioni per aiutare Jacques e la sua famiglia in qualche lavoro, ad esempio nella raccolta delle olive, che a differenza dell’Italia viene fatta ancora a mano. Seppur il lavoro venga da noi svolto gratuitamente (e solamente quando non vi sono altre attività previste), l’ospitalità araba non manca nemmeno in questo caso, che si tratti di offrirci la pausa merenda (con tanto di Shisha!) o la cena.
Mi preme sottolineare tuttavia come un volontario, per poter restare a Rmeich per un tempo prolungato (almeno un mese), necessiti di una conoscenza del francese a livello intermedio (diciamo B1-B2). Essendo infatti i corsi nelle scuole l’attività prevalente nel periodo invernale, essi presuppongono una almeno discreta padronanza della lingua, pena l’essere esclusi di fatto dalle attività e rimanere senza far nulla; e similmente si può dire per le “évaluations”. Per non parlare di come molti volontari francofoni non parlino inglese o siano ad un pessimo livello. Ciò può rendere difficile per un italiano anche relazionarsi nella vita quotidiana della missione. Tra i pochi che, a mio modesto giudizio, avevano un buon livello d’inglese erano proprio i due volontari che mi affiancavano a Rmeich, François e Thomas. Ma in generale con loro si conversava tranquillamente in francese. Anche Jacques non ha un buon livello d’inglese e, sempre a mio giudizio, essere in grado di comunicare in maniera efficace con colui che è il nostro riferimento nell’area è fondamentale. A riprova di tutto ciò posso citare Diego, volontario italiano arrivato in Libano poco dopo di me, il quale aveva studiato francese tempo addietro ed era piuttosto arrugginito, e Johanna, una volontaria svedese. Il primo, dopo cinque giorni a Rmeich, in cui ne percepivo palesemente il disagio, ha deciso di ritornare a Beirut per poi essere felicemente inviato a Tripoli. La seconda, parlando solamente inglese (ad un livello quasi madrelingua peraltro), ha potuto partecipare attivamente soltanto alle (poche) attività ricreative nelle sue due settimane di permanenza nel sud. Personalmente, essendo stato reduce da tre anni di francese all’università senza mai averlo praticato, le prime settimane sono state un po’ difficili ma in seguito la situazione si è normalizzata.
Per concludere invece voglio soffermarmi sul lato più emotivo dell’esperienza. Sono stato molto felice dell’affiatamento della “Équipe Rmeich”, ovvero Thomas, François ed io. Il secondo mi ha anche confidato il suo entusiasmo al riguardo, ancora maggiore del mio direi. Per quanto su posizioni politiche e religiose differenti, tutti e tre siamo stati in grado di convivere e lavorare attivamente. Inoltre bisogna menzionare Jacques, che nemmeno le qualifica di “tuttofare” riuscirebbe ancora a descrivere tutto ciò che materialmente e umanamente egli fa per i volontari che giungono a Rmeich, sia ai fini delle attività che privati. Infine è doveroso citare anche gli abitanti di Rmeich, sia coloro che collaborano a “Sel et Lumières” sia quelli che abbiamo incontrato, i quali hanno dimostrato una ospitalità “araba” che in Italia o in Francia è quasi del tutto dimenticata. Come ho già accennato, all’inizio l’impressione di Rmeich non è stata positiva, tuttavia col passare dei giorni, conoscendo i luoghi le persone che vi abitano, ho cominciato a capire, apprezzare ed infine amare un villaggio che, nel bene e nel male, mi ha ricordato l’Italia più provinciale e lontana dai problemi della modernità e, vista la sua collocazione geografica, definirei senza indugio “un villaggio alla fine del mondo”.
Via Meuccio Ruini 31,
00155 Roma
info@fondazionesoscristianidoriente.it
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Privacy Policy | Cookie Policy |