Capo Missione in Iraq, Antoine Brochon ci parla del suo lavoro e della situazione attuale nel paese.
Si presenti, chi è ? Qual’è il suo percorso professionale ?
Mi chiamo Antoine Brochon, Capo Missione in Iraq con SOS Cristiani d’Oriente. Ho 50 anni, sono sposato e ho tre figlie. Ho iniziato a lavorare come rappresentante di vendita per due anni. Ho venduto dizionari enciclopedici in quartieri molto svantaggiati nei dintorni di Grenoble. Dopodiché, per tre anni sono stato nominato rappresentante commerciale a La Poste, ho commercializzato soluzioni Corriere-Pacchi-Internazionale-Marketing Diretto-Dematerializzazioni con grandi aziende e amministrazioni.
Queste varie esperienze commerciali mi hanno permesso di diventare direttore di un ufficio postale. Prima uno, poi due, poi tre uffici a Parigi. Ho avuto un team di circa 35 persone sotto la mia direzione e ho gestito progetti aziendali con un budget di 130 milioni di euro per tre anni. Ho lavorato per due anni nell’animazione commerciale di 12 uffici e 29 agenzie di La Poste a Parigi (circa 2.500 persone). Infine, ho guidato un team di sette venditori che hanno messo in vendita le soluzioni Corriere-Pacchi-Internazionale-Marketing diretto-Dematerializzazione per le principali società e amministrazioni con sede a Parigi (Longchamp, Yves Saint-Laurent, Ambasciata degli Stati Uniti, Solvay …). Circa 1.050 Key Accounts, obiettivo commerciale di 35 milioni di euro.
Ho tratto da questa esperienza di oltre vent’anni una buona comprensione della gestione umana.
Qual è il suo ruolo in SOS Cristiani d’Oriente ?
Sono il capo della missione SOS Cristiani d’Oriente in Iraq. Gestisco una squadra di volontari (da dieci a quaranta), spesso molto giovani, cinque traduttori iracheni e un avvocato curdo. Organizzo le loro attività, la loro ripartizione nelle antenne che copriamo e sono quindi responsabile della loro sicurezza. Rilevo e seleziono i progetti e le attività della mia missione, definisco i budget previsionali, insomma sono il garante del budget assegnato alla missione e dei progetti che finanziamo. Sono in contatto quotidiano con i vescovi, i sacerdoti iracheni, i nostri partner sul posto, con i quali stabilisco i progetti che posso presentare.
I tre pilastri di lavoro che mi sono fissato sono: Educazione, Spiritualità e Radicamento.
Perché aver deciso di lavorare per SOS Cristiani d’Oriente ?
Sono partito con SOS Cristiani d’Oriente nell’agosto del 2016, come semplice volontario, per tre mesi in Siria, a Maloula, wro responsabile di un gruppo di 8 volontari con un traduttore siriano. Ho scoperto un vero significato da dare al mio impegno per i nostri fratelli cristiani, che non lo dimenticano, ci hanno preceduto nella fede. Ci danno grandi lezioni di coraggio e forza. Sono stato anche particolarmente colpito nel vedere tutti questi giovani volontari francesi ed europei che decidono di sacrificare alcuni mesi della loro vita per aiutare gli altri. E alla fine di questi tre mesi di impegno che ho capito che volevo lavorare per l’associazione SOS Cristiani d’Oriente.
Com’è la situazione attuale in Iraq e particolarmente nelle zone dove lavorate ?
Il paese sta cercando di riprendersi da decenni di guerra, (1980-1988 guerra Iran-Iraq; 1991, bombardamenti della coalizione; 2003, intervento americano, seguito da anni di caos che ha raggiunto il suo culmine con Daesh, per non parlare delle guerre arabo-curde, degli attacchi orchestrati dalle 20 basi turche installate nel nord del Kurdistan iracheno e che mirano i villaggi dove sono stabiliti i combattenti del PKK). Ancora oggi, ogni giorno Daesh conduce operazioni di destabilizzazione e insurrezioni perpetrando attacchi contro ufficiali, soldati, poliziotti e minaccia ancora tanti villaggi. La sfida della pace che sta tentando di stabilirsi è politica e non dipende solo dagli iracheni.
L’avidità del petrolio e gli interessi economici agitano sia i suoi vicini diretti (Turchia, Arabia Saudita) che i Paesi occidentali che vogliono controllare questa risorsa (USA, Unione Europea). Inoltre, il Paese è al centro di una complessa situazione diplomatica (relazioni Iran-USA, relazioni arabo-curde, relazioni sunniti-sciiti, Siria) che destabilizzano il paese.
E i cristiani iracheni ? Come vivono in mezzo a questa complessità politica, economica e militare ?
I cristiani, come molte altre comunità, si sono ritrovati ostaggi di questi conflitti e sono ancora traumatizzati. Molti sono fuggiti da Baghdad in seguito all’insurrezione che è avvenuta dopo la caduta di Saddam Hussein e si sono trasferiti a Mosul o nella Piana di Ninive.
Oggi i 225.000 – 275.000 cristiani che vivono ancora in Iraq (rispetto a 1,2 milioni nei primi anni 2000) sono soprattutto preoccupati per la loro sicurezza. L’istruzione dei bambini è sempre stata una priorità per le famiglie cristiane che la considerano un buon modo per proteggerli dal dinamismo demografico delle altre comunità. Rappresentare un peso significativo socialmente ed economicamente è una garanzia di sopravvivenza.
Più che il resto della società irachena, i cristiani richiedono un intervento urgente dello Stato per partecipare alla ricostruzione del Paese. Questa affermazione non è un segno di egoismo. Da quello che ho potuto osservare risulta che le città e i villaggi cristiani sono stati particolarmente colpiti dalla distruzione, in quanto rappresentavano un bersaglio particolare per Daesh.
I cristiani sono divisi tra una legittima paura e ansia per il futuro e un forte desiderio di voltare pagina su cio che è successo questi ultimi anni. Sono consapevoli del fatto che dovranno riconciliarsi con le comunità musulmane che li circondano. Paradossalmente, per molti, sono spinti da una fede più profonda e potente in seguito alle sofferenze subite.
A Ainkawa, molti sfollati che si erano rifugiati nei campi hanno deciso di rimanerci, altri sono scappati dal paese o sono tornati nelle loro città.
Nella Piana di Ninive, il bilancio è invece devastante.
Si può stimare che un terzo dei sfollati della Piana di Ninive siano tornati nelle loro città d’origine (eccetto Mosul, dove solo una decina di famiglie cristiane si sono ristabilite li). 1/3 sono rimasti nella città di rifugio (Ainkawa, Duhok …) e 1/3 sono scappati dal Paese (Australia, USA, Europa, ma anche Giordania dove stanno aspettando un visto per emigrare).
La spartizione del territorio tra il governorato curdo e l’Iraq è un chiaro ostacolo alla loro libertà di movimento, specialmente quando i posti di blocco sono controllati da ex milizie che si sono schierate con le forze di sicurezza irachene nella lotta contro Daesh, Unità di mobilitazione popolari (Hashd Al Shaabi). Questi ultimi, a maggioranza sciita, hanno pagato un prezzo pesante durante gli scontri sul campo. Sembra quindi legittimo che le minoranze sciite, gli shabak, vogliano occupare i villaggi per i quali hanno pagato il prezzo del sangue. In alcuni villaggi, Karemless, Bashika, Bartella, la loro presenza cresce, per cui i cristiani esitano ancora di più a tornare. In altre città, come Telkief, i cristiani erano in minoranza molto prima della guerra e la loro sopravvivenza dipende dalla tolleranza dei loro vicini musulmani sunniti. Quest’ultimo aveva un ruolo ambivalente al momento dell’invasione di Daesh, tra approvazione e discreta sconfessione. Infine, una città come quella di Batnaya è stata distrutta oltre il 90%, è stata appena riaperta ai suoi abitanti.
Teleskuf può essere citata come esempio, visto che ci abitano 800 famiglie, anche se 200 di loro provengono da Batnaya. Gli sforzi di ricostruzione potrebbero essere fatti più velocemente, poiché la città è stata meno colpita dai combattimenti. La fase di sviluppo economico e infrastruttura è ora a buon punto. Qaraqosh è anche un bellissimo esempio di resurrezione, con oltre 8.000 famiglie che vivono in una città che non è stata risparmiata dai combattimenti. La ricostruzione sta andando avanti, così come la ripresa economica. Ad Alqosh, che è stata per un pelo risparmiata dai combattimenti, lo sviluppo economico è una grande sfida in questa zona rurale. Lontano dalle ex zone di combattimento, città o villaggi cristiani fanno fatica a rallentare l’esodo dei cristiani.
Questa erosione è dovuta a difficoltà profonde di convivenza con i vicini kurdi e alla mancanza di prospettive occupazionali. E il caso a Badaresh, così come in molti villaggi di Sapna. C’è un sentimento di abbandono delle principali organizzazioni umanitarie e organismi internazionali che si concentrano sulla Piana di Ninive.
Un po’ più a est, Bana Sor, è un’eccezione, un villaggio cristiano che si è recentemente stabilito quando un governatore musulmano ha ascoltato la chiamata dei cristiani che gli hanno chiesto di accoglierli quando fuggirono da Mosul e dalla Piana di Ninive. Ha fatto costruire case dove vivono ormai una cinquantina di famiglie.
Qual è l’obiettivo di SOS Cristiani d’Oriente in Iraq? Quali sono i vostri progetti sul campo ?
Stiamo lavorando sul radicamento dei cristiani in Iraq.
I principali progetti che stiamo portando avanti quest’anno sono:
Perché partire come volontario con SOS Cristiani d’Oriente ? Come possono rendersi utili ?
I volontari rappresentano una testimonianza vivente della solidarietà che esiste tra cristiani occidentali e cristiani orientali. Ne sono gli ambasciatori. Scoprono e condividono la vita quotidiana dei cristiani nei paesi di missione. Al loro ritorno di missioni, condividono la loro esperienza e aiutano ad informare un pubblico più ampio su ciò che hanno vissuto, visto, ascoltato e scoperto. Sul posto, partecipano ai cantieri e alle attività, seguono i progetti, ne identificano dei nuovi, in base alle loro capacità e ai bisogni della missione, assumono le responsabilità loro affidate. È un’esperienza molto intensa che li fa crescere e dalla quale ne escono trasformati.
Come possiamo aiutare la Fondazione SOS Cristiani d’Oriente ?
Per prima cosa seguiteci sui social network e sul nostro sito web, registrandovi alle numerose conferenze che organizziamo per conoscere la nostra azione, informandovi e sensibilizzando i vostri cari sul destino dei cristiani d’oriente. Secondo, facendo volontariato nei nostri paesi di missione (Iraq, Libano, Siria, Egitto e Giordania). Infine, facendo una donazione che finanzierà i progetti e le attività che portiamo in questi Paesi e in Pakistan.
Via Meuccio Ruini 31,
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