Quaranta è un numero pieno di significati nelle religioni abramitiche, i tre monoteismi appartenenti al Libro, Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento lo troviamo più di una volta. Il popolo ebraico trascorse quarant’anni nel deserto prima di raggiungere la Terra Promessa, e lo stesso Mosé, che guidò la traversata, trascorse quaranta giorni e quaranta notti sul monte Sinai. Come lo stesso Gesù Cristo che passò quaranta giorni nel deserto prima di iniziare la sua opera di predicazione. Infine anche il Profeta Muhammad avrebbe cominciato la sua predicazione a quarant’anni, un’età che nell’universo islamico simbolizza maturità, ragione e saggezza. Ed è di nuovo nel quarantesimo anniversario della Rivoluzione Islamica dell’Iran che il Santuario Imam Reza di Mashhad, seconda città santa sciita dopo Qom, ha deciso di organizzare la prima Conferenza Internazionale sul Dialogo tra fedi religiose.
A inaugurarla è stato un incontro presidiato da Ebrahim Raisi, leader politico-religioso (nonché possibile successore dell’attuale Guida Suprema Ali Khamenei), a cui hanno partecipato il Nunzio Apostolico Sua Eccellenza Leo Boccardi e tutti i rappresentanti delle comunità spirituali iraniane, tra cui sunniti, ebrei, mandei, sabei, armeni cattolici e zoroastriani, proprio per sottolineare come sotto la teocrazia col turbante convive da secoli questo mosaico etnico e culturale. È il primo passo verso qualcosa di nuovo ed estremamente interessante, che mi ha visto partecipare, insieme ad altri ospiti stranieri, religiosi e laici, in quanto presidente della Fondazione SOS Cristiani d’Oriente nonché attento studioso e operatore del dialogo tra sciiti e cristiani. Accanto alle conferenze frontali dove seguivano gli interventi dei vari relatori abbiamo avuto modo di confrontarci direttamente con i giovani studenti del seminario Navab di Mashhad, in cui studiò e si impegnò anche Ali Khamenei, per discutere di qualsiasi argomento in uno scambio di visioni e prospettive sul futuro da costruire insieme, congiuntamente alla possibilità di poterci esprimere in totale libertà sulle emittenti televisive di Stato che hanno seguito l’evento per tutti e quattro i giorni.
Davanti ad una platea di 300 religiosi sciiti iraniani ho avuto modo di parlare dei miei cinque pilastri per un dialogo interreligioso serio, vero e costruttivo, che ho costruito nel tempo, nei viaggi e nel dialogo costante con l’Altro.
1) rifiuto dello scontro di civiltà: questo deve essere il reale punto di partenza, e la presa di posizione obbligatoria per ogni cattolico che vuole iscriversi in una tradizione plurimillenaria di interazione culturale e religiosa tra Oriente e Occidente, e ricostruire quel ponte abbattuto da una teoria, quella del clash of civilization, elaborata a tavolino per fini geopolitici.
2) rifiuto del sincretismo religioso: come ha ribadito lo stesso Papa Francesco durante la sua visita negli Emirati Arabi Uniti, nell’incontro con il grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayeb: «non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante». La via da percorrere, dunque, è quella della «composizione dei contrasti e della fraternità nella diversità».
3) pratica esperienziale di convivialità: il dialogo interreligioso deve essere scientifico, teologico, accademico ma occorre soprattutto viverlo senza troppi intellettualismi nella quotidianità vera e propria. Due esempi concreti: i nostri volontari servono i pasti tutti gli anni alla mensa in Siria nel periodo di Ramadan e trascorrono le giornate insieme alle famiglie musulmane, o ancora con la nostra associazione umanitaria ci stiamo organizzando per portare nel 2019 un gruppo di persone per camminare da Najaf a Karbala in Iraq durante l’Arbaeen, nel pellegrinaggio religioso più importante dell’universo sciita.
4) difesa delle nostre rispettive identità: per portare avanti un autentico dialogo è necessario difendere e rispettare le nostre tradizioni religiose, culturali e storiche, perché senza identità rischia di diventare il più triste monologo della storia.
5) dialogare senza complessi: se da un lato c’è l’identità dall’altro ci deve essere apertura totale al confronto. E occorre farlo senza complessi, in modo paritario, senza rancore, spirito di vendetta e senso di colpevolezza. L’Occidente, al pari dell’Oriente, può e deve riconoscere i suoi errori senza pagare le conseguenze di un passato e di un presente che non gli appartiene. Se tutti i musulmani non sono terroristi, allo stesso modo tutti cristiani non sono dei colonialisti o guerrafondai.
di Sebastiano Caputo
Via Meuccio Ruini 31,
00155 Roma
info@fondazionesoscristianidoriente.it
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Privacy Policy | Cookie Policy |